29 luglio 2010

Countdown to Venice Film Festival starts now!



Annunciato oggi il programma della 67 Mostra d'arte Internazionale Cinematografica di Venezia, che si terrà al Lido dall' 1 e all' 11 settembre 2010. Dopo due edizioni piuttosto deludenti, quella di quest'anno sembra poter essere - almeno sulla carta- un'edizione molto interessante. In concorso molti film americani e ben 4 film italiani: La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo (autore che amo particolarmente), La pecora nera di Ascanio Celestini, Noi credevamo di Mario Martone e La passione di Mazzacurati (altro regista capace di dare vita a piccoli gioielli come il precedente La giusta distanza).

Personalmente sono eccitata per le anteprime di Somewhere di Sofia Coppola (la mia regista preferita!), Black Swan di Aronofsky (thriller ambientato nel mondo del balletto) e Promises written in water di Vincent Gallo.

Lido arrivoooooooo!






15 marzo 2010

The Lost Girls: Lisbon Sisters vs The Appleyard College Girls

Miranda (Picnic ad Hanging Rock_ Peter Weir 1975)

Lux (The Virgin Suicides_ Sofia Coppola 1999)

" The Virgin Suicides is in many ways a modern updating of Picnic at Hanging Rock, Peter Weir’s 1975 classic about girls from a repressive Victorian schoolgirl who disappear during a picnic in the Australian wild. While that film took full advantage of the disappearances’ unexplainable nature, Coppola’s film is too fickle and heavy-handed to draw sustained strength from the girls’ suicides. The instants where everything comes together, however, are precious emotive land mines worth experiencing".
(film review)

Lux

Miranda

Those two movies share the same dreamy atmosphere, as long as a similar sense of pastel colour brightness.


Lisbon Sisters


The Appleyard College Girls

3 marzo 2010

Waiting for Tim Burton's Alice

Alice in Wonderland
by Lou Bunin (1948)

Alice in Wonderland
by Jonathan Miller (1966)


Neko z Alenki
by Jan Svankmajer (1984)


2 marzo 2010

Alice attraverso lo schermo


Osservando con attenzione la produzione cinematografica, fotografica, musicale e più in generale estetica che va dal dopoguerra fino ai giorni nostri, si può facilmente notare come sia sempre più frequente imbattersi in Alice, la bambina ostinatamente curiosa creata dal genio del professore Charles Lutwidge Dodgson (in arte Lewis Carroll), nell’Inghilterra della seconda metà dell’ottocento. Per merito della sua poliedricità e delle sue tante sfaccettature, Alice ha saputo infatti adattarsi perfettamente all’evoluzione dei tempi storici e dei linguaggi visivi, confermando in questo modo di essere una creatura atemporale e non semplicemente un’immagine ideale dell’infanzia vittoriana. La straordinaria visionarità e la varietà di interpretazioni possibili del dittico carrolliano è stata dunque fonte d’ispirazione per artisti di diverse discipline.
Solo in campo cinematografico si contano circa una decina di adattamenti molto eterogenei fra loro. I primi risalgono all’epoca del muto. Alice in Wonderland (id., 1903) di Percy Stow e Cecil Hepworth racconta in circa otto minuti (è il film più lungo realizzato fino a quel momento in Gran Bretagna) gli episodi più famosi del racconto di Carroll, dalla caduta di Alice nella tana del coniglio fino al suo incontro con la Regina di Cuori. Hepworth si impegnò perché il film fosse, a livello visivo, il più possibile fedele allo stile grafico delle illustrazioni originali di Tenniel. Una grande cura venne dunque riservata ai costumi (impegnativi quelli delle carte), alle scenografie, e agli effetti speciali.
Una seconda trascrizione cinematografica muta di Alice è quella realizzata dalla Edison Company in America nel 1910. Nel 1915 il regista americano W.W Young realizza il suo Alice in Wonderland (id., 1915), interpretato da una celebre attrice quindicenne dell’epoca, Viola Savoy. Ma certamente il più importante adattamento cinematografico di Alice del periodo pre-bellico fu quello prodotto dalla Paramount nel 1933. Alice in Wonderland (id., 1933) di Norman Z. MacLeod (sceneggiato da Joseph L. Mankiewicz) è un grande colossal sonoro e live action, interpretato da un ricco cast di future star hollywoodiane tra cui Gary Cooper e Cary Grant. Per interpretare Alice fu scelta invece, tra circa 6800 candidate, un’attrice emergente: la giovane Charlotte Henry. Alice in Wonderland (id., 1948) di Dallas Bower e Lou Bunin è invece il primo adattamento in technicolor del classico di Lewis Carroll. Nel 1966 il regista inglese Jonathan Miller rilesse invece il dittico carrolliano in chiave “moderna” e personale. La pellicola (Alice in Wonderland, 1966), nonostante fosse stata realizzata per la televisione, è interessante poichè risente del clima psichedelico e rock degli “Swinging Sixties” inglesi. Freddo e privo di poesia, invece, Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice’s Adventures in Wonderland, 1972) di William Sterling.
Se si esclude l’Alice di Jan Švankmajer, possiamo dire che tra gli anni ottanta e novanta vengono realizzate solo versioni televisive piuttosto deludenti dei due racconti di Lewis Carroll. Negli ultimi anni si è assistito, invece, a un rinnovato interesse da parte del cinema nei confronti di questi classici per l’infanzia. E non sto parlando solo dell'Alice di Tim Burton in uscita oggi in Italia. Sono, infatti, in fase di post-produzione ben due pellicole: Alice (id., 2007) di Marcus Nispel (trasposizione cinematografica del celebre videogame americano American McGee's Alice) e Phantasmagoria. The Vision of Lewis Carroll (id., 2007) di Marilyn Manson (film ispirato alla vita e alle opere di Lewis Carroll). Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice in Wonderland, 1951) di Walt Disney e Alice (Neco Z Alenky, 1984) di Jan Švankmajer sono, tuttavia, gli adattamenti cinematografici più noti e interessanti che il cinema abbia prodotto fino a questo momento. Le due pellicole presentano notevoli differenze formali motivate, soprattutto, dallo scarto temporale che intercorre fra la loro realizzazione. Se il film di Disney appartiene alla categoria del cinema d’animazione mainstream degli anni cinquanta, al contrario il film di Švankmajer è realizzato in pixillation, una tecnica più recente che consente di animare oggetti, pupazzi, plastilina e qualsiasi altro tipo di materiale. E’piuttosto simile negli intenti, invece, l’approccio che i due registi hanno nei confronti dei testi, di cui recuperano (seppur con esiti differenti) la matrice surrealista e gli aspetti più vagamente inquietanti.

Durante la realizzazione di Alice nel Paese delle Meraviglie, Disney e il suo team erano consapevoli di doversi adattare a certi parametri commerciali dei film per l’infanzia, in accordo con i principi morali imposti dal codice Hays. Questo spiega la stereotipizzazione a cui è stato indubbiamente sottoposto il personaggio di Alice e il ridimensionamento della sottile morbosità dei testi. La pellicola assume cioè, da un punto di vista strutturale, la forma di un viaggio di formazione in puro stile disneyano dove Alice, esattamente come Biancaneve, è un’eroina innocente alle prese con i dubbi legati alla propria identità. Eppure questo film rappresenta un episodio anomalo della filmografia disneyana e più in generale dell’animazione classica. A dispetto di quello che la critica ha sempre sostenuto, Disney ha infatti rispettato molte delle caratteristiche più trasgressive del racconto: la caoticità, il surrealismo, l’ambiguità morale di tutti i personaggi e soprattutto quel finale non-finale che insinua nello spettatore un senso di disagio e sorpresa. Alice è il primo personaggio disneyano che alla fine delle sue avventure non cresce, non si trasforma. Alice è dunque lo stesso Disney, un uomo rimasto per sempre “prigioniero” dei propri sogni infantili.

Lo stesso vale per Jan Švankmajer. Quando il regista ceco dichiara: “Alice sono io” (parafrasando Flaubert), è evidente che intende sottolineare le affinità tra la propria personalità e quella della bambina carrolliana. “Švankmajer ha spostato in modo netto l’infatuazione per il nonsense di Carroll in direzione della propria poetica, il che è testimoniato tra l’altro dal fatto che egli colloca Alenka nell’ambiente ceco ricostruendo, in una certa maniera, i processi mentali alla base del proprio rapporto con la realtà e della sua sopravvalutazione fantastica nell’infanzia”. La sua trascrizione delle avventure di Alice è allo stesso tempo personalissima e fedele ai testi, di cui il regista ha voluto accentuare gli aspetti più claustrofobici e allucinati. L’Alice svankmajeriana ha assunto, dunque, il ruolo di spartiacque. E’ a partire dalla sua realizzazione, infatti, che l’immagine della bambina vittoriana comincia a cambiare, a incupirsi e a deviare verso il noir; a conferma dell’enigmaticità che la avvolge e che la rende uno dei personaggi più complessi della letteratura per l’infanzia. A partire dagli anni '70 incominciano a essere realizzati film che apparentemente, per ambientazione o per soggetto, non avrebbero nulla a che fare con i libri di Lewis Carroll, ma che invece contengono numerosi rimandi proprio a quei testi. Tanti sono i registi di varie nazionalità che si sono ispirati a quella voglia di cambiare il mondo che è propria di Alice, per definire i tratti e i gesti dei personaggi di alcune loro pellicole. In alcuni casi la protagonista è una bambina in cerca della propria identità, come l'Alice nelle città di Wenders o la Chihiro di Miyazaki; altre volte è una donna adulta che conserva il candore e l'immaginazione tipiche dell'infanzia, come l'Alice di Woody Allen.
Una sola cosa è certa: Alice, la bambina non-bambina, amabile e terribile, simbolo precorritrice delle future filosofie del linguaggio e dell’avanguardia surrealista, non ha mai smesso di costituire un enigma per il suo stesso autore e per tutti coloro che l’hanno incontrata fra le pagine di un libro o le immagini di un film.